Passato prossimo non dimentica di essere nel presente, nonostante esso sia difficile e complicato, tanto da allontanarci dalle ricorrenze importanti. E’ passato l’8 marzo, ma non è passata la questione di genere. Passato prossimo non dimentica i femminicidi, la questione dei diritti delle Donne in tutto il mondo e nelle diverse sfumature, le lotte per la parità, per il diritto di voto, aborto e divorzio. Diritti cari alle donne poiché segnano passi importanti verso l’emancipazione. Passato prossimo conserva la Memoria delle Donne anche attraverso scritti, memorie, poesie e, perché no?, attraverso documenti sui generis, come un lenzuolo. La socia Chiara Semeraro ci presenta uno spettacolo teatrale che avrebbe dovuto svolgersi l’8 marzo scorso, ma che, come tantissimo spettacoli, è saltato.
Si parte da un lenzuolo…
“Mi aiuti a piegare le lenzuola?”
Ecco che l’incubo iniziava nei pressi del ferro da stiro. Io all’altro.
A separarci, come un ponte sospeso , LUI , il lenzuolo matrimoniale.
Metri e metri di infinita stoffa.
Presagio nefasto.
Piegare perfettamente a metà, ripiegare ancora a metà.
Infine far combaciare l’orlo nel mezzo della metà della metà.
Il dilemma fatto stoffa.
“Afferralo bene ora, bene eh! Sei pronta? ok. Tira!”
E lì mia madre… dopo essere partita dal Veneto su un camioncino insieme ai polli, essere stata presa in giro a scuola dai Brianzoli “la terrona, è arrivata la terrona del nord!”, aver partorito 2 gemelli e subito poco dopo essere partita per il Medio Oriente tra gli scorpioni e una guerra in atto… ecco…mia madre cominciava a tirare, con una forza che mi trascinava a sé, e si arrabbiava se non facevo lo stesso!
Le lenzuola dovevano essere perfette, perché poi avremmo dormito tutti meglio.
La lezione sottintesa era la seguente: porta pazienza, cerca di dare il tuo meglio, fai fatica, fatti valere.
“Tira! Tira! Tira più forte!
Perchè poi nel letto ci si riposa, si fa l’amore, si partorisce, si salta, si sogna e…si muore.
Il lenzuolo, il ponte.

MaterWater è una performance di DanzaCreativa in collaborazione con il progetto #lenzuoliSOSpesi di Silvia Capiluppi con la regia e danza di Alice Righi, Chiara Semeraro, Valentina Fasani e voce Donatella Soldano.
È una storia intessuta nella memoria ancestrale del filo e del lenzuolo, simboli di ciclo, rinnovamento, legame: attraversa perciò il cammino delle donne universalmente, ed in ogni tempo.
L’incontro con Silvia Capiluppi, artista performativa ed architetta milanese, è nato grazie all’ArteTerapista Clara Ornaghi che ci ha messo in collegamento per l’appunto.
Quello delle donne è un sodalizio, un continuo creare connessioni, progetti, trame.
La fecondità femminile, prima di essere quella materna, parte dalla creatività e dalla ricerca del giusto, che si fa verità, coesione, gioia e condivisione.
Il lenzuolo che entra come oggetto di scena è stato battezzato da Silvia Capiluppi “MaterWater”, frutto del lavoro degli artisti di “Arte da mangiare, mangiare Arte” che hanno ricamato i loro nomi o simboli vari, in segno di connessione con l’acqua che è Madre.
Ciò che è accaduto è stata una contaminazione tra narrazione, danza e tessitura artistica, quasi un rituale.
Ogni donna lascia il proprio segno, filando la tela, raccontando di sé, componendo con il corpo parole in movimento. Ogni storia si intreccia all’altra, creandone una sempre più ampia, che si contamina e si allarga in una vera e propria rete.
Il lenzuolo è il simbolo del costante ripetersi dei cicli vitali, è il canovaccio teatrale in cui ognuna passa le proprie stagioni mutando, lavaggio dopo lavaggio, traccia dopo traccia di chi ha condiviso lo stesso spazio.
La DanzaCreativa, strumento artistico della performance, è una metodologia che nasce da Maria Fux, danzatrice e corografa Argentina del 1922. Parte dal presupposto che il corpo è veicolo di comunicazione autentico, capace di trasmettere emozioni e vissuti in un ambiente protetto, che è quello del gruppo. Perciò si presta molto bene a rappresentare tematiche sociali, instillare domande, promuovere cambiamenti, e soprattutto smuovere ciò che si ha dentro, non necessariamente in comune con gli altri. Stimola l’apertura alle differenze, mostrandole tutte come possibili e valide.
Ogni persona con le sue proprie potenzialità e ricchezze , difficoltà e limiti (fisici e psichici) ha l’opportunità di portare agli altri il suo modo di essere, di confrontarsi, di percepire i propri limiti trasformandoli in nuove possibilità di sperimentazione e di ricerca.
Il corpo nello spazio realizza sequenze ed atti espressivi del proprio universo: l’uomo è un universo in miniatura. Il sentimento, il ritmo, il suono, il colore, lo spazio, le gioie ed i dolori si trasformano in movimento. L’espressione del ritmo interno, attraverso l’esperienza corporea, permette una esteriorizzazione del mondo interno.
Maria Fux, fondatrice del metodo Fux
La riflessione di Chiara ci porta a ricordare un altro documento, un lenzuolo anch’esso, diventato una bella pubblicazione: http://archiviodiari.org/index.php/larchivio-dei-diari/il-lenzuolo-di-clelia.html
Il Lenzuolo, diario di Clelia, conservato presso l’Archivio diaristico nazionale:

Una notte, Clelia non trova un pezzo di carta in tutta la casa. Di colpo la memoria le restituisce il volto della maestra elementare. “Martini Angiolina raccontava che gli Etruschi avvolgevano le mummie nelle lenzuola”. Apre l’armadio e prende un lenzuolo bianco del corredo, di una dote che non serve più. Lo poggia su un cuscino e adagia il cuscino sulle ginocchia. Incolla sulla sinistra la foto del marito, sulla destra la sua e al centro il sacro cuore di Gesù. Di getto, incomincia a scrivere la storia della sua vita, solo verità e “Gnanca na busia”.
Fabio Felicetti, Corriere della Sera
Un diario scritto in un lenzuolo potrebbe essere il solito prodotto dell’umore balzano della provincia italiana: come i violini costruiti con i fiammiferi o l’uomo orchestra che suona contemporaneamente tutti gli strumenti. Ma all’archivio mi hanno raccontato la storia di Clelia (…). Gran parte del diario è ambientato nel paese dove è nata e ha sempre vissuto: la campagna padana, le fatiche della mietitura e del lavoro nei campi, il primo incontro con il marito quando lei aveva ancora quattordici anni. La figura del marito torna sempre, in ogni lunga riga del lenzuolo: la persona più importante per noi – ha spiegato – è quella con cui vai a letto tutte le notti.
Stefano Malatesta, La Repubblica
Scrivere la propria vita su un lenzuolo: quello che ha avvolto i nostri sonni, i sogni, gli amori, le solitudini tormentose. Scriverla la vita, con una minuzia di segni, estrema pazienza, la stessa del tempo che incide le rughe su un volto.
Alberto Bevilacqua, Corriere della Sera
Quand j’entre, mon oeil est attiré par le mur du fond, décoré d’une sorte d’étrange… tapisserie? J’approche: c’est un drap de lit, écrit à l’encre noire en lignes fines, comme une immense page de cahier dont les lignes auraient deux mètres de long. Une paysanne des environs en a fait cadeau aux Archives: ce drap est le récit de sa vie, composé après la mort de son mari. Tout à fait en bas du drap autobiographique, un fris de poèmes à l’encre rouge. Le texte a été transcrit par les Archives, mais l’objet est sospendu là, émouvant mémorial coniugal devenu, sur ce mur, symbole de l’écriture populaire.
Philippe Lejeune, Le dèbat
Im Verlauf zweier Jahre wuchs darauf nicht nur die eigene, sondern auch die Geschichte ihrer Mitmenschen und die des ganzen Landstrichs: eine Erzählung aus der Provinz von Mantua in Hunderten von filigranen Filzstiftzeilen. Erinnerungen verfasst in Dialekt, manches Mal in einer Art Lautschrift, von einer Frau, die die Schriftsprache nicht vollkommen beherrscht, aber dennoch (oder gerade deshalb) ein sprachmächtiges Zeugnis abgelegt hat. “Und so all die Opfer und Mühen, ein Leintuch grob und breit wie das Meer bräuchte man, um alle Mühen und all den Kummer zu erzählen”.
Michael Langer, Die Zeit
Ottant’anni. Una vita aspra, fatta di fatica, povertà. Ma anche di dignità e amore. Quando il marito muore ha sessant’anni, i figli sono grandi e nei campi non ci va più. Il tempo è lungo, vuoto. Clelia Marchi comincia a scrivere, ogni notte, su un lenzuolo. Oggi i suoi diari sono diventati un libro.
Rosella Simone, Marie Claire
Quel lenzuolo a due piazze fitto fitto d’una scrittura rotonda e un po’ insicura è finito a Pieve Santo Stefano, al premio per la diaristica. Poi, siccome Poggio Rusco è il paese di Arnoldo Mondadori, la Fondazione Mondadori ha deciso di pubblicarlo (…). Sarebbe sciocco parlare di letteratura. Le storie di Clelia Marchi sono vere, sono memorie preziose di una civiltà, quella contadina, abitualmente avara di testimonianze.
Aurelio Magistà, Il Venerdì di Repubblica
Clelia Marchi arrivò a Pieve Santo Stefano un giorno d’inverno del 1986, col suo lenzuolo sotto il braccio. Era venuta in treno fino ad Arezzo. Era scesa dalla corriera, con l’aria compunta e festosa delle donne già avanti negli anni, che hanno trascorso una vita intiera senza mai uscire dal loro comune di nascita. Un viso bello, incorniciato da una capigliatura canuta e ben pettinata, le trecce attorcigliate, gli occhi sfavillanti. Portava l’età indefinita di una capofamiglia contadina vestita bene per una cerimonia.
[dalla prefazione di Saverio Tutino a “Gnanca na busia” di Clelia Marchi. Fondazione Mondadori, 1992]