[…] Un giorno sarà
tutta la terra di un solo colore,
il colore della libertà […]
Tratto da Compagni fratelli Cervi , di Gianni Rodari, 25 aprile 1988 [Riportiamo in calce il testo nella sua interezza]
Il 25 aprile, Festa della Liberazione, è una giornata di gioia da condividere felicemente e allegramente con tutti. Quest’anno non ci è possibile festeggiare in comunità, ma non manchiamo di ricordare quest’avvenimento. Ricordiamo che si sono battuti, anche a costo della loro vita, per la conquista delle libertà di cui oggi possiamo godere tutti. Siamo grati a questo coraggio e a questa lotta di Liberazione.

Nel nostro lavoro quotidiano quest’anno ci siamo spesso imbattuti in uno scrittore straordinario: Gianni Rodari. Quest’anno, peraltro, ricorre l’anniversario della sua nascita (100 anni) e della sua morte (60 anni).
Gianni Rodari è conosciuto dai più come il grande scrittore per ragazzi. Sapevamo fosse comunista, vincitore del premio Anderseen nel 1970, famoso giornalista. Non sapevamo, però, che fosse stato anche un partigiano. Nel 1943, quando cade il fascismo, fiancheggia la Resistenza e poi aderisce alla 121a brigata Garibaldi di Gavirate.
Non sapevamo di questo fatto.
Abbiamo cominciato a leggere gli scritti di Gianni Rodari per preparare letture destinate a bambini e ragazzi. Ma mano che il viaggio attraverso la sua scrittura si è fatto più lungo e complesso, abbiamo scoperto lo scrittore di tutti, adulti e bambini. Rodari, infatti, scrive di istanze universali: Pace, Libertà (di scelta, di pensiero e parola), Diritti umani. La sua scrittura giocosa, delicata, metaforica, ma non meno sagace, arriva diritta al punto. Arriva dritta al cuore.
Così, fra le pagine di Rodari, ritroviamo i valori della Resistenza, di cui non sapevamo avesse fatto parte attiva, ma di cui possiamo tutti leggere il peso.

In Gelsomino nel paese dei bugiardi il protagonista si imbatte in un bizzarro paese dove le bugie hanno più valore della verità, i pirati hanno conquistato il potere con la forza, il “pirata-governatore” parla al popolo affacciato al balcone del castello, il popolo passivo finge di credere alle bugie dei potenti, e il protagonista, Gelsomino, che non ha paura di dire come la pensa, fa crollare muri e palazzi.
In La torta in cielo Rodari affronta il tema degli armamenti e della Pace. La bomba atomica è trasformata per errore in torta, dallo stesso scienziato che la progetta. I bambini scoprono le leccornie nascoste nella “bomba” e le condividono con la comunità, perché “ce ne sarà per tutti quando gli uomini al posto delle bombe faranno torte”.

Infine abbiamo scoperto le poesie, versi dedicati ai giovani morti per la Resistenza che compone in dialetto, usato come il linguaggio della confidenza e dell’amicizia, non dell’esclusione come oggi è usato.
Rodari, grazie al suo talento artistico, trasmette idee ed emozioni, ed è la sua breve esperienza di maestro elementare che gli dona la conoscenza della forza comunicativa delle filastrocche, che lui usa per insegnare ai bambini.
Il suo linguaggio trae in inganno, forse anche la forma con cui tratta questi argomenti, perché è un linguaggio semplice, per tutti. Questo linguaggio è, però, proprio la forza, la ricchezza della scrittura di Rodari. Rodari era un uomo del popolo, che parlava alla gente.
Rodari, come tutti i partigiani, sceglie di stare dalla parte della libertà, della pace, dell’uguaglianza.
Rodari ha scelto la Resistenza e per questo noi di Passato prossimo vogliamo dedicargli la nostra pagina del 25 aprile 2020.
Buona Liberazione a tutti!
Compagni fratelli Cervi
Dedicato a papà Cervi nel suo ottantesimo compleanno e alle giovanissime generazioni d’Italia.
A papà Cervi con ammirazione con affetto

I
Bella Emilia, splendeva
la polvere delle tue strade
che si aprono il passo fino al cuore
verde della pianura –
Ora immobili al sole, ora smarrite
nel labirinto delle vigne, dove
il campanello di una bicicletta
sembra squillare in cielo con le allodole
o sugli olmi affollati di cicale –
come splendeva, Emilia, la tua pace
il giorno che Aldo Cervi
guidò il trattore nuovo verso casa
e bastava la mano sul volante
a domare il puledro di ferro
dal muso fiammante
e il cuore prestava le sue parole
alla cieca canzone del motore :
Trattore, passa e va!
Le case si affacciavano
in cima alle cavedagne,
mandavano filari,
mandavano cani festosi e bambini
dalle voci più acute delle frecce
incontro al suo ruggito,
e un ragazzo che a scuola
le vecchie favole aveva sentito
rise : Guardate Atlante,
il gigante che regge il mondo in collo!
Perché sulla macchina alto in trono
viaggiava un mappamondo,
solenne goffo re da biblioteca
esiliato fra i campi,
e ad ogni scossa la sua rotazione
attorno ai poli mostrava
i continenti di sette colori
e gli oceani celesti, navigati
da flotte di arcipelaghi,
l’Asia, l’Europa, l’Africa,
l’America …
alla spinta d’un dito
giravano in un vortice di trottola,
e il cane impazzito
abbaiava alla giostra,
e i bimbi gli volevano mostrare
l’Italia che bagna il piede del mare
e lì è casa nostra, noi siamo lì sotto l’unghia.
Balenò sulla sfera
il riflesso di fiamma del trattore,
si bagnarono acque e terre
in un bagliore d’incendio e di sangue.
II
Sette fratelli come sette olmi,
alti robusti come una piantata.
I poeti non sanno i loro nomi,
si sono chiusi a doppia mandata :
sul loro cuore si ammucchia la polvere
e ci vanno i pulcini a razzolare.
I libri di scuola si tappano le orecchie.
Quei sette nomi scritti con il fuoco
brucerebbero le paginette
dove dormono imbalsamate
le vecchie favolette
approvate dal ministero.
Ma tu mio popolo, tu che la polvere
ti scuoti di dosso
per camminare leggero,
tu che nel cuore lasci entrare il vento
e non temi che sbattano le imposte,
piantali nel tuo cuore
i loro nomi come sette olmi :
Gelindo,
Antenore,
Aldo,
Ovidio,
Ferdinando,
Agostino,
Ettore …
Nessuno avrà un più bel libro di storia,
il tuo sangue sarà il loro poeta
dalle vive parole,
con te crescerà
la loro leggenda
come cresce una vigna d’Emilia
aggrappata ai suoi olmi
con i grappoli colmi
di sole.
III
La leggenda dirà della mano,
grossa mano contadina,
che ogni sera in cucina a un lume di lucerna
fece sul mappamondo il suo viaggio
cercando fraterna
altre mani, altre genti;
dirà degli occhi fermi
che videro città gonfie di vita
e giardini e feste
dove toccavano caute le dita
sabbie di deserti,
mistero di foreste;
dirà di sette fratelli,
fratelli a tutta la terra,
che sognarono un mondo senza fame,
senza guerra, senza paura.
Ai quattro venti, fuori, la pianura
spalancava le braccia nel buio,
su tutta Italia era notte e paura,
ma, nella stanza, intrepida una voce
parlava col domani :
Un giorno sarà
tutta la terra di un solo colore,
il colore della libertà.
D’un ceppo la vampa
nel vasto focolare
ancora un lampo di sangue strappò
sulla piccola terra,
ed un’ombra più lunga l’ingoiò.
IV
La leggenda dirà che lunga notte,
Italia, fu la tua,
rotta dal canto ubriaco del fascista…
Cara patria, terra avara,
non era la tua voce che cantava
la sconcia canzone:
essa tremava nelle nostre gole,
pianto e maledizione,
quanto tu ci mandavi per il mondo
a seminare paesi e città
perché di terra nostra
non avevamo da riempire il pugno ;
e quando morivamo abbandonati
sull’orlo delle trincee
tu non eri la bandiera usurpata
di tante stolte guerre,
ma il pianto oscuro della madre ignara,
non eri il proclama del generale
ma la nenia, il lutto degli alpini
che vanno alla guerra,
la meglio gioventù che va sotto terra.
Tu non hai mai parlato dai balconi
dei palazzi pieni di boria,
tu disertavi le adunate imperiali,
battevi con le nocche insanguinate
i muri delle prigioni,
sibillavi in segreto la tua storia,
eri la penna che graffiò paziente
i quaderni di Antonio Gramsci,
il giornale proibito, il volantino
di cui ogni parola era pagata
con un anno di galera ;
sei cresciuta nelle officine,
nelle grige periferie,
nella stalla del contadino.
Italia, tu vivevi
nella casa di Fraticello,
seduta al focolare dei Cervi,
non padrona né schiava
ma sorella e compagna
di fatica e d’amore.
E quando lo stivale straniero
calcò il tuo cuore
e infangò le tue strade,
la tua bandiera sventolò sui monti,
vegliò ai fuochi fumosi delle baite,
viaggiò segreta nella bicicletta
del gappista, brillò nei suoi occhi d’acciaio,
e i tuoi sette fratelli,
i tuoi sette Cervi dal limpido cuore
furono i tuoi sette fucili,
per colpire ti diedero gli artigli :
“I cani ci chiamano banditi,
ma il popolo conosce i suoi figli”
V
La leggenda dirà
di una casa emiliana
che materna abbracciò coi suoi muri
il fuggitivo braccato dai cani,
e per l’inglese, il russo prigioniero
impastò il pane con tenere mani,
e vegliò il lor sonno.
Il cuore non conosce frontiere,
per donarsi non chiede passaporti.
A te, a te aviatore americano
delle tue bombe non ti chiese conto,
gettate sulle nostre città sui nostri morti,
ma fasciò la tua ferita.
La tua vita, nel Texas, nel Nevada,
fu comprata con la vita
di sette comunisti,
e la loro casa fu bruciata,
la loro madre uccisa dal dolore
perché tua madre non dovesse piangere.
VI
La leggenda dirà
dell’ultima battaglia :
dove cantò la cicala
abbaia la mitraglia.
Una muta di cani
la notte ha circondata,
il fumo leccai muri
della casa incendiata.
Ma quando li portarono
alla crudele morte,
non eri tu, fucile,
il più fermo, il più forte.
Nella nebbia dell’alba
si nascosero i cani,
e chiusero gli occhi
per non vedersi le mani.
Negli occhi dei sette Cervi
l’aurora si specchiò,
dagli occhi fucilati
il sole si levò.
Vecchio, tenero padre,
olmo dai sette rami,
nella vuota prigione
per nome ancora li chiami,
e a notte fra le sbarre
fin dove soffia il vento
intatte vedi splendere
sette stelle d’argento.
Sette stelle dell’Orsa
come sette sorelle.
I cani non potranno
fucilare le stelle.
VII
Vecchio nodoso come un olmo antico,
pianta potata dai miei sette rami,
che dura scorza gli anni e il nemico
hanno fatto al mio volto, alle mie mani.
I Cervi, è buona terra : ara, nemico,
affonda il vomero nelle mie carni,
coi pugnali dell’erpice colpisci:
morte puoi darmi, male non puoi farmi.
E’ buona terra questa carne antica.
mieti, nemico, le mie sette spighe :
il grano non muore nel pane,
non sono morti i miei sette figli
che hanno dato la vita alla vita.
In tutto ciò che vive sono vivi,
in tutto ciò che spera sono vivi,
in tutto ciò che soffre e lotta vive
i miei figli per sempre sono vivi.
VIII
Li hanno veduti su tutti i fronti…
E quando irresistibile, fiorita
di rossi fazzoletti partigiani
la primavera dirupò dai monti
a rendere la patria agli italiani
Erano il canto più ardito, la lagrima
più stellante di gioia,
i colori più belli dell’aprile
i compagni fratelli Cervi…
Li hanno visti nel Sud
vestito di nero e di sole
quando uscì dalle grotte di Matera
una valanga umana a conquistare
la patria e la terra ; uomini, donne,
bimbi arruffati e puri negli stracci,
e gli animali dall’occhio fraterno,
cavalli, asini, muli,
e le bandiere e i santi paesani
sui ricamati stendardi,
tutti quel giorno, Italia, ti baciarono,
ti tolsero gli spini con mano amorosa.
C’erano, c’erano i Cervi a Melissa,
anche di loro la terra fu rossa,
e sul primo trattore
che la vittoria si scavò tra i cardi.
alto su tutti gli sguardi
C’era il mio Aldo, e fu il suo canto un tuono :
Bandiera di libertà,
trattore passa e va!
E li hanno visti a Modena, un mattino
d’inverno che ai cancelli
delle Fonderie Riunite
chi chiedeva lavoro ebbe piombo :
a Reggio Emilia, quando ci destò
l’indomabile rombo del “fischione”,
e i nostri bimbi piangevano
di nascosto dal padre
battuto per le strade,
e l’inverno fu duro, ma a Natale
il loro albero crebbe favoloso
tra le macchine salvate,
nero presepe fu la fonderia
dell’Erre Sessanta,
e un canto di vittoria
cantarono angeli in tuta turchina
con le ali macchiate di grasso :
Bandiera di pace
e di libertà,
trattore, passa e va!
Dove la pianta uomo non si umilia,
ma di tutto il suo sangue
fu una bandiera accesa di coraggio,
là sono vivi i miei figli,
a Genova, nel porto conteso :
oggi la prima linea
passa tra le banchine,
sui moli si tende
il reticolato,
la trincea è scavata nelle case
dove non c’è più pane
ma non entra viltà…
I sette Cervi scendono con voi
sulle piazze d’Italia quando scoppia
come un uragano di speranza
la parola della classe operaia…
Stretti con voi nei banchi di scuola,
con voi si macchiano il dito di inchiostro,
Scrivete : Italia… E’ il loro nome, e il vostro.
Sgranate gli occhi limpidi
sul mappamondo, fragile giocattolo
fatto per un festoso girotondo,
ed essi, guidano la vostra mano
di frontiera in frontiera
a cercare i fratelli
sconosciuti e vicini,
e segnano per voi
nel cuore delle genti
la strada della pace,
e vi dicono : Un giorno
la terra conoscerà
un solo colore,
quello della felicità.
Allora sarà vostra
Come una palla, come una trottola.
Come il cuore che vi fa vivi e buoni.
La prenderete allegri sulle spalle.
Vi presteremo noi la vostra forza
che non conosce nemici :
perché voi siete degli olmi nuovi
e noi siamo le vostre radici.
Gianni Rodari, Reggio Emilia, 8 maggio 1955